Poiché questo è l’anno di Dante ho deciso di cominciare con alcuni suoi versi:
Divina Commedia, Purgatorio, Canto XI, vv.94-96
Credette Cimabue nella pittura tener lo campo, ed ora ha Giotto il grido, sì che la fama di colui oscura.
Con tre versi Dante relega Cimabue nel passato e celebra la nuova arte di Giotto.
Vorrei mettere a confronto due opere di entrambi i pittori. Sono due Croci Dipinte, oggetti molto diffusi nel medioevo. Si tratta di dipinti realizzati su una tavola di forma sagomata a croce cui spesso sono aggiunti due tabelloni laterali lungo il lato verticale, e due tabelloni più piccoli alle estremità orizzontali e verticali. Mentre la croce ospita il corpo di Cristo, le aggiunte sono variamente utilizzate. Di solito nelle due estremità dell’asse orizzontale sono raffigurati Maria e Giovanni. I due tabelloni laterali in qualche caso contengono episodi della Passione ma nelle due Croci Dipinte di Cimabue e Giotto sono presenti motivi decorativi. Si tratta di uno spazio che il pittore può utilizzare per disporre, secondo la sua sensibilità, il corpo di Cristo morente.
Cimabue, Croce Dipinta, Chiesa di San Domenico, Arezzo
Opera giovanile di Cimabue, la Croce di Arezzo (databile intorno al 1270) risplende ancora nei suoi colori intatti e nello splendore dell’oro. E’ un’immagine possente di straziante umanità. La sofferenza di Gesù è tangibile nel corpo inarcato come se fosse colto nell’ultimo spasimo. Cimabue si è servito di tutto lo spazio offerto dal tabellone per allungare e torcere il povero corpo. E’ andato oltre la sagoma lignea della croce adattando l’aureola alla posizione della testa abbandonata sul petto. I lineamenti del volto esprimono tutta la sofferenza che Gesù ha sopportato: gli occhi sembrano scavati dal graffio di una zampata. La bocca è chiusa in una piega amara.
Tutta la muscolatura, delle braccia, del torace, dell’addome, delle gambe è resa da linee che sintetizzano i più significativi elementi anatomici, secondo la tradizione della pittura bizantina.
Lo splendido perizoma, morbido tessuto rosso elegantemente annodato intorno ai fianchi, è tutto percorso da crisografie (linee dorate) che alludono alle pieghe del tessuto e rappresentano quelle creste più luminose che da Giotto in poi saranno risolte grazie al chiaroscuro.
La cultura bizantina è ancora molto presente soprattutto negli aspetti formali. Nuova invece è la forza espressiva, capace di indurre sentimenti di forte empatia nel pubblico dei fedeli.
Anche la Croce di Giotto è un’opera giovanile ed è tuttora conservata nella sua collocazione originaria, la chiesa fiorentina di Santa Maria Novella. Si ritiene eseguita tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta del Duecento.
Giotto, Croce Dipinta, Santa Maria Novella, Firenze
Il corpo di Gesù è pesante e scivola con naturalezza su un fianco. Il peso grava principalmente sulle braccia e sulle mani straziate dai chiodi. I piedi sono sovrapposti e trafitti da un solo chiodo.
La testa s’inclina sul petto, ma il dolore è espresso senza deformare i lineamenti del volto, che sono quelli di un uomo biondo, bellissimo. Una ciocca di capelli scende a sfiorare il collo, la spalla e l’ascella. Il delicato variare del chiaroscuro dà corpo a tutte le membra e fa risaltare la muscolatura. Si possono contare le costole, percepire la rotondità dell’addome, sentire la tensione di muscoli e tendini delle braccia.
Le mani trafitte e sanguinanti si piegano creando una piccola zona d’ombra. Un velo sottile, quasi trasparente è annodato intorno ai fianchi e lascia scoperta gran parte dell’addome e delle gambe.
Una nuova plasticità produce una forte impressione di rilievo. E’ il primo “uomo” crocifisso della storia dell’arte.
Queste Croci erano collocate di solito sul tramezzo che separava il popolo dal clero o dalla comunità monastica ed erano sostenute da un supporto ligneo. Giotto ingloba il supporto nella croce stessa e vi dipinge il Calvario, sotto il quale colloca un teschio, riprendendo la tradizione che Gesù fosse stato crocifisso nel luogo della sepoltura del primo uomo. Nel teschio di Adamo s’infila un piccolo rivolo di sangue, che, uscito dalle piaghe del Crocifisso, entra nelle fratture della roccia che si è spaccata nel momento della morte di Gesù (Matteo, 27,51).
Giotto “Rimutò l’arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno” secondo le essenziali e indimenticabili parole di Cennino Cennini (Il libro dell’Arte, Fine del XIV secolo).
Dante aveva capito che Giotto nella pittura aveva creato un nuovo linguaggio espressivo così come lui stesso aveva fatto per la lingua.
Riferimenti ed opere citate:
Cimabue, Croce Dipinta, Chiesa di San Domenico, Arezzo
Giotto, Croce Dipinta, Santa Maria Novella, Firenze
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