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Immagine del redattoreMaria Grazia

Dürer e l’incisione


Albrecht Dürer (Norimberga 1471-1528) è stato un genio del Rinascimento tedesco. Grande come pittore, ma ancora di più come incisore e xilografo, realizzò decine di opere dove si esprime la sua straordinaria creatività e la libertà della sua fantasia.


Cresciuto nella bottega del padre orafo, apprese ben presto l’uso del bulino.

Comprese anche che, mentre la pittura lo obbligava a seguire le convenzioni iconografiche e i desideri dei committenti, le incisioni gli offrivano uno sterminato spazio di libertà. Poteva ispirarsi a testi sacri o profani, accettare o meno le iconografie tradizionali, dare corpo ai suoi pensieri più profondi. Produceva e vendeva in proprio. Grandissimo successo ebbero non solo in area germanica, ma quasi dovunque in Europa i grandi fogli singoli, le serie come La Grande Passione, la Piccola Passione, La Vita della Vergine e il volume da lui stesso pubblicato con l’Apocalisse.

Oggi intendo presentare un’opera di soggetto religioso raffigurante la Natività. Lo spettatore può a ragione essere disorientato trovandosi davanti a un’immagine dove i protagonisti della storia sacra sono così marginali rispetto all’ambiente che li ospita. In effetti l’artista sembra molto più interessato alla resa degli edifici e dello spazio circostante che all’evento evangelico.




Una grande casa a graticcio ospita a pian terreno la Madonna e il Bambino. Questi è stato appoggiato quasi per caso su di un grosso solido di pietra, ben lontano dal calore che potevano offrire un asino e un bue, relegati in fondo alla stalla. La tipologia della casa è quella anticamente diffusa in molti paesi nordici e qualche volta ancora presente nelle vallate dell’Alto Adige.





Questa casa è una gioia per gli occhi che non si saziano di esplorarla centimetro per centimetro: una finestra con vetri piombati, il tetto a scandole, parti di muro sbrecciate, e, al piano terra una bifora romanica, del tutto inattesa, a testimoniare la sacralità di questo spazio.

Alle spalle di questo edificio ne spunta una altro che esibisce ancora una finestra importante, ma che in effetti è solo un rudere, forse di una torre, che però offre il destro a Durer di inalberare un cartellino con le sue iniziali e la data, 1504.

Segue un altro edificio in rovina, che accoglie sulla cima una vegetazione cresciuta a sorpresa in così piccolo spazio. In antico una passerella di legno conduceva all’edificio di fronte, ma adesso sono rimaste solo poche assi sgangherate.



Restano da considerare due grandi archi, uno in mattoni che delimita lo spazio sul fondo, lasciando intravedere un paesaggio lontano, e uno in conci con relativa chiave di volta, che apre un varco verso destra. L’edificio in cui si apre il secondo arco è costruito con pietre ben squadrate e potrebbe alludere a un monumento romano.

Al centro c’è un pozzo, fornito di carrucola, dal quale Giuseppe sta attingendo acqua per poi versarla in una brocca.


Cosa significa tutto questo? Perché Maria e il Bambino sono così appartati? Perché tanti edifici, di tanti materiali diversi, che a loro volta alludono a periodi storici diversi: mondo romano a destra, medioevo a sinistra? Tanta “Varietas” era quella di cui parlava Leon Battista Alberti? O piuttosto siamo in presenza di citazioni dalla cultura figurativa medievale? Oppure possiamo pensare che l’artista sia mosso soprattutto da una passione inesausta per la realtà nei suoi infiniti aspetti?


Dürer era stato in Italia (1495-96) e presto ci sarebbe tornato. Si era fermato a lungo a Venezia, amava Giovanni Bellini, aveva studiato la prospettiva, era un uomo coltissimo.

Conosceva l’uso di porre le Natività in umili capanne a ridosso di edifici in rovina, a simboleggiare la nascita di una nuova religione sui ruderi del mondo pagano. Il pozzo e la brocca sono forse da intendere in riferimento alla verginità di Maria. Molti altri significati allegorici ci sfuggono. Quello che è palese è il controllo “italiano” dello spazio, la sicurezza della prospettiva e, tutto suo, l’amore per la natura che viene celebrata persino nei fili d’erba cresciuti tra le pietre e negli alberi svettanti sui muri corrosi.


Mi piace citare alcuni brani del celebre elogio che Erasmo da Rotterdam scrisse per

Dürer : De recta latini graecique sermonis pronuntiatione.

“Riconosco che Apelle è stato un principe della sua arte……Ma Apelle era assistito dai colori…..Dürer invece… cosa non seppe esprimere coi suoi monocromi cioè con le sue linee nere! Luce ombra, splendore, rilievi, profondità… Dürer segue rigorosamente le regole della proporzione e dell’armonia…”

Citazione da:

Erwin Panofsky, La vita e l’opera di Albrecht Dürer, 1955, ed. it. 2006, 2015, Abscondita, Milano





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