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Immagine del redattoreMaria Grazia

Giovanni Bellini, Il San Francesco Frick

Aggiornamento: 13 mar 2021

"La tavola del San Francesco nel deserto a oglio fu opera di Zuan Bellino, cominciata da lui a M. Zuan Michiel e ha un paese propinquo finito e ricercato mirabilmente"

Marcantonio Michiel, Notizia d’opere di disegno

Il nobile veneziano Marcantonio Michiel fu un letterato e un appassionato studioso d’arte. Frequentatore delle case più signorili di Venezia, ebbe modo di contemplare da vicino le ricche collezioni dei suoi concittadini. Ne lasciò dettagliate descrizioni, che videro la luce molti anni dopo la sua morte e che fornirono notizie utili per la conoscenza di opere d’arte realizzate a Venezia nei primi decenni del Cinquecento.

Le parole sopra riportate si riferiscono al dipinto a olio su tavola di Giovanni Bellini, raffigurante San Francesco nel deserto, che Michiel vide in casa di Taddeo Contarini nel 1525 e che attualmente è conservato nella Collezione Frick a New York.

É un’opera di straordinaria bellezza, da godere in ogni particolare. Molti studiosi hanno cercato di decifrarne la complessa iconografia, facendo diverse ipotesi. Per il momento vorrei solo descrivere la tavola.

Giovanni Bellini, San Francesco nel deserto, 1480 circa, Collezione Frick, New York

San Francesco occupa il centro di uno spazio roccioso che si sviluppa per circa due terzi dell’opera. É in piedi, scalzo, con le braccia distese, lo sguardo rivolto verso l’alto, la bocca semiaperta. Il corpo è atletico, lontano dall’immagine del Poverello penitente, provato dai digiuni e dalle malattie, che la storia ci ha tramandato. Con la sua presenza eroica domina lo spazio intorno a lui. Sembra in preghiera, o in contemplazione. Ha già ricevuto le stimmate, che hanno lasciato un segno scuro sulle mani e sui piedi.

Un deserto, diceva Michiel. Sì, ma non del tutto arido e senza vita. Francesco si è procurato un alloggio in una grotta, ma non ha rinunciato ad alcuni piccoli piaceri, legittimi anche per un eremita.



Davanti all’accesso della grotta si è costruito uno studiolo. Oh, niente di eccezionale: due pali, qualche traversa, ed ecco un sostegno per una vite che ha radicato tra le rocce (ma ben frantumate alla base della pianta) e che ora è cresciuta tanto da realizzare una specie di pergolato, prodigo d’ombra. Qui Francesco ha sistemato una panca e un rustico leggio sul quale vediamo un libro e un teschio, oggetto d’ordinanza per un eremita. Poco oltre, in penombra, un piccolo crocifisso cui è appesa una corona di spine. Dietro lo studiolo un traliccio di rami intrecciati preclude all’occhio dello spettatore uno spazio interno, più riservato.

Torniamo all’esterno.

Accanto all’imboccatura della grotta Francesco ha costruito un piccolo spazio fertile. Usando pietre ben squadrate ha creato un minuscolo giardino, o forse un orto, a ridosso della parete rocciosa. Emerge una pianta fiorita dal lungo stelo, forse un malvone. Tra le rocce dovunque spuntano piante di varie dimensioni, molte sono secche. Eppure non lontano c’è una sorgente. Francesco ne ha convogliato l’acqua in un breve condotto di legno.



Accanto allo studiolo è pronta la brocca per attingere l’acqua. In prossimità della sorgente, appoggiato sul ramo di un cespuglio, c’è un cartiglio con la firma del pittore: IOANNES BELLINUS. Molto vicino a Francesco, sotto la sua mano destra, dalla roccia spunta fuori il muso di un coniglio.

Possiamo ora considerare il paesaggio che si apre alle spalle di questa zona rocciosa. Lo sguardo percorre prati verdeggianti fino alle prime colline popolate di case e di castelli. E’ uno dei paesaggi amati dal pittore che spesso ritornano nelle sue opere. Nello spazio intermedio tra la zona rocciosa e quella collinare ci sono alcuni animali: un asino, una gru, un gregge di pecore col pastore.

Lungo il bordo sinistro del dipinto si vede il tronco di un albero molto alto e sottile, privo di rami e di foglie, che, verso la sommità, sembra improvvisamente prendere vita e sviluppare un denso ciuffo di rami ricoperti di un lucente fogliame. Quest’albero è stato oggetto di molte attenzioni da parte degli studiosi, soprattutto di quelli che hanno visto nel dipinto di Bellini raffigurato il momento in cui Francesco riceve le Stimmate. Il pittore avrebbe adombrato l’intervento miracoloso nella luce che appare in cielo in alto a sinistra, accompagnato da un soffio divino capace di piegare la cima dell’albero.

Faccio fatica a credere a questa interpretazione. Per tutti l’albero è un alloro, ma il portamento è molto strano per un alloro. Sembra solo un alberello sofferente, dove la vita non si è ancora spenta del tutto, tanto che proprio in vetta trova la forza per rinverdire.

Altri studiosi hanno messo in relazione alcuni particolari (gli zoccoli lasciati nello studiolo, la sorgente) con episodi della vita di Mosè, un personaggio molto presente nella mistica francescana.

A me piace pensare al Santo come l’ha raffigurato Giotto ad Assisi nel Sogno di papa Innocenzo III, cioè l’uomo capace di sostenere sulle sue spalle il Laterano che sta crollando. Anche nell’opera di Bellini Francesco è lì con le braccia aperte, pronto ad accettare l’immane compito di rinnovare il vecchio tronco della chiesa con una nuova spiritualità, un nuovo modello di cristianesimo.

Qualunque sia stata l’intenzione del committente e qualunque sia il significato nascosto di tanti particolari, credo che si possa apprezzare l’opera come pura poesia.

Così l’aveva descritta Marcantonio Michiel: un paese propinquo finito e ricercato mirabilmente.

Questo grande Maestro avrà certo ricevuto dal committente o dai francescani, cui l’opera era quasi sicuramente destinata, indicazioni precise sul soggetto che doveva raffigurare, ma è soltanto sua la grazia delicata dell’invenzione formale e la qualità eccelsa della pittura. Per l’amore verso la natura, indagata anche nei suoi aspetti più umili, Bellini appare come l’interprete più fedele della grande lezione fiamminga, che si stava diffondendo nell’Italia settentrionale.

Si è ipotizzato che l’opera sia stata dipinta intorno agli anni Ottanta del Quattrocento e destinata alla chiesa di San Francesco del deserto, che sorgeva sull’omonima isola della laguna veneta.

 

Riferimenti ed opere citate:

  • Giovanni Bellini, San Francesco nel deserto, 1480 circa, Collezione Frick, New York

  • Marcantonio Michiel, Notizia d’opere di disegno

  • Giotto, Sogno di papa Innocenzo III


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