Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo……..
(Primo Levi)
L’uomo può diventare quello descritto da Primo Levi, un essere umiliato, asservito, privato della sua identità, sospinto solo da istinti primordiali. Francisco Goya (1746-1828) ha conosciuto quest’uomo negli anni della guerra condotta dagli spagnoli contro gli occupanti francesi e ne ha lasciato memoria terribile e immortale nelle sue incisioni I disastri della guerra.
Comincio con l’immagine intitolata Tristi presentimenti di ciò che sta per accadere, dove un uomo lacero, disperato, apre le braccia come un Cristo in croce e leva in alto gli occhi già vuoti, senza vita. La figura risalta nel suo biancore spettrale su uno sfondo nero, tratteggiato da colpi forti e irregolari, dati in ogni direzione, come se l’autore dovesse sfogare la sua rabbia.
É rabbia per quella fila di impiccati, che lasciano del tutto indifferente il soldato francese, che se ne sta abbandonato, in riposo, come dopo un pranzo abbondante. Tampoco (Non in questo caso). Qui Goya, come se mancasse alla morte l’ultima umiliazione, disegna le braghe della vittima calate ai ginocchi, estrema fragilità di un corpo morente. Infinita crudeltà dell’indifferenza.
Anche le donne sono vittime della guerra. No quieren, non vogliono, ma spesso non riescono a resistere agli stupri. Qui vediamo una giovane afferrata da un soldato nemico. Lei si ribella con tutte le sue forze, le gambe divaricate, le mani protese a graffiare il viso dell’aggressore, che sta per avere il sopravvento. Alle loro spalle una vecchia, forse la madre, piccola e magra, è pronta a sferrare un colpo di pugnale sulla schiena dell’uomo. Si vede la ruota di un mulino, evocazione di tranquilli lavori interrotti.
La violenza è dovunque. La ferocia degli spagnoli non è dissimile da quella dei francesi.
Lo mismo, lo stesso ci mostra due contadini, alle prese con due soldati. Questi sono già a terra ma non li attende nessuna pietà. Un’ascia, tenuta fortemente da uno spagnolo, sta per abbattersi su di un nemico, mentre l’altro è sotto la minaccia di un pugnale. La parte alta dell’incisione è occupata da tre elementi: un’ascia, una mano supplichevole, un pugnale. In basso un groviglio di corpi.
Al cimitero rappresenta una delle poche note di pietà di tutto il ciclo. Non a caso l’incisione richiama il trasporto di Gesù morto. Due uomini hanno appena sollevato da terra un cadavere. Si intuisce chiaramente il loro sforzo; il personaggio di spalle ha la testa incassata e nasconde il volto. Anche il volto dell’uomo morto è completamente in ombra, mentre la luce illumina sullo sfondo una madre con il figlio, appena delineati con un tratto leggero, piccole creature innocenti.
Ho cominciato con una citazione da Primo Levi sollecitata da una notazione di Tzvetan Todorov nella sua monografia su Goya:
Zoran Mušič, scampato a Dachau, diceva di trovare soltanto in Goya, un’immagine di ciò che aveva vissuto.
(Goya, Garzanti, 2013).
Pittore egli stesso, Mušič ha lasciato un nucleo di disegni fatti durante la prigionia, che sono in gran parte conservati presso il museo Revolterra di Trieste.
Tutto il complesso dei Disastri della guerra fu eseguito presumibilmente tra il1810 e il1820, ma non fu pubblicato dall’autore finché fu in vita. Vide la luce molti anni dopo, nel 1863.
Riferimenti ed opere citate:
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