Parlare del Polittico dell’Agnello Mistico di Jan van Eyck (Gand, Cattedrale di San Bavone, finito nel 1432) è cosa che incute un certo sgomento. Si tratta di un’opera immensa, a partire dalle dimensioni, una vera enciclopedia del sapere tra Medioevo e Rinascimento.
Jan van Eyck, Polittico dell’Agnello Mistico, 1432, Gand, Cattedrale di San Bavone
Committenza, iconografia, tecnica, tempi di esecuzione, autografia, vicende storiche, restauri. sono alcune delle voci esplorate e dibattute in decine di studi. Non intendo perciò avventurarmi in questi argomenti e darò per scontato che la parte del polittico sulla quale intendo soffermarmi sia opera di Jan van Eyck, ignorando il dibattito sulla fantomatica figura del fratello Hubert che un’epigrafe indica come coautore dell’opera. Vorrei invece soffermarmi su un aspetto del dipinto che più mi affascina: il paesaggio, che, a polittico aperto, occupa tutta la parte inferiore. Una superficie immensa per i tempi (cm.375 di larghezza), tale da impegnare non poco l’abilità del pittore. Mi sembra che nessun pittore prima di Jan van Eyck abbia dedicato tanta attenzione al mondo naturale. Dal più sottile filo d’erba ai boschi variati da diverse specie vegetali, dai rilievi più vicini a quelli più lontani, dai tanti fiori e frutti ai moti degli uccelli, fino al trascorrere delle nuvole nel cielo, per finire con la luce che tutto avvolge di uno splendore paradisiaco, è un mondo nuovo che esplode davanti ai nostri occhi.
In questo immenso paesaggio si celebra l’Agnello Mistico adorato dai fedeli. Verso di lui convergono da ogni parte del mondo i credenti, in una visione che ricorda la celebrazione di tutti i Santi. E’ una spazio immaginario, una sorta di paradiso. Qui l’occhio del pittore opera come un telescopio e come un microscopio allo stesso tempo, tanto che lo spettatore è costretto a oscillare tra una posizione ragionevolmente lontana dal dipinto e una molto vicina (Panofsky).
Siamo in un’ampia valle, delimitata all’orizzonte da rilievi montuosi. Il prato che accoglie i fedeli convenuti intorno al trono dell’Agnello e alla Fontana della Vita è tutto fiorito di specie rustiche e spontanee. Neppure un filo d’erba è trascurato, vi compaiono fiori che troviamo anche nei nostri prati.
Procedendo oltre il gruppo che occupa il centro del dipinto, vediamo avvicinarsi da destra un gruppo di Sante. Sono in parte nascoste da un grande cespuglio, ai piedi del quale crescono gigli e iris. Sono fiori freschi e fragranti, dipinti con la precisione dovuta a un erbario e insieme vivi come se fossero appena sbocciati.
Dal lato opposto avanza un gruppo di Martiri. Li introduce un grande cespuglio fiorito e ancora più a sinistra una pianta di vite piena di grappoli d’uva, tradizionale riferimento all’Eucarestia. Delicati viticci si protendono nell’aria a cercare un aggancio.
Proseguendo oltre, dopo il prato pieno di fiori ed erbe, dopo i cespugli fioriti, cominciano i boschi. Sembrano boschi di latifoglie con qualche albero da frutta in primo piano. La definizione dei tronchi, del fogliame, dei frutti è estremamente precisa.
Passiamo ora agli scomparti laterali, due per parte, che raffigurano altri gruppi di fedeli in cammino verso l’Agnello. Partendo da sinistra mi soffermo sul secondo, che raffigura i Combattenti per la fede, dove appare un paesaggio mirabile, di assoluta modernità. Si succedono nello spazio rocce e rilievi variamente illuminati. In sequenza vediamo: un costone roccioso coperto dalla vegetazione, una collinetta dominata da una torre, un’altra linea di colline in controluce, e lontano, grandi monti, azzurri per la distanza. Basta una nuvola passeggera per creare una zona d’ombra ed ecco che gli alberi cresciuti in vetta alla collina, diventano scuri proprio come tutte le sagome che si stagliano contro il cielo al tramonto. Molti anni dovranno passare prima che i fenomeni naturali siano rappresentati con tanta verità e insieme con tanta poesia.
Nel primo scomparto sul lato destro vediamo un gruppo di Pellegrini. Sono in viaggio verso Roma o verso Gerusalemme? Il panorama è cambiato. C’è una fitta macchia mediterranea in mezzo alla quale compaiono cipressi e palme. Che città è quella che si intravede appena, velata dalla lontananza?
Nel pannello seguente, che ospita gli Eremiti, un sentiero ci conduce dentro a un bosco. Qua notiamo che le specie degli alberi sono nuove e varie. In mezzo alla vegetazione svetta un pino marittimo e, se alziamo gli occhi, saremo sorpresi da voli d’uccelli colti in momenti diversi delle loro evoluzioni aeree. Ogni volta che li vedo mi sorprendo che siano ancora lì. E che dire di quei migratori che procedono in schiera regolare verso la loro destinazione più calda?
Dove ha visto Jan van Eyck tutto questo? Fiori, arbusti, vite, boschi, cipressi, palme, alberi da frutto? Questo è un paesaggio dell’Europa meridionale. Anche la luce ha uno splendore quasi zenitale. E’ vero che, secondo quanto suggerisce l’iconografia dell’opera, la luce sembra procedere dalla Colomba-Spirito Santo, ma, richiesto di esprimere una visione religiosa, il pittore deve aver trovato in sé un modello cui ispirarsi, attingendo alle sue esperienze.
Dobbiamo ripensare alla vita del pittore, agli incarichi che ebbe dal duca di Borgogna, Filippo il Buono, presso la cui corte, a Bruges, Van Eyck visse molti anni. Sono note due missioni che il pittore fece in Spagna e in Portogallo. Quest’ultima era destinata a stipulare accordi matrimoniali tra il duca di Borgogna e Isabella del Portogallo (1428). Il ritratto che il pittore fece a Isabella in quell’occasione, è perduto, ma alcuni studiosi ritengono che sia lei la giovane donna che compare nella veste di Sibilla nella centina della parte anteriore del Polittico. Si parla anche di un incarico diplomatico con destinazione ignota, forse Gerusalemme Questi viaggi gli hanno fatto conoscere terre ben diverse dalla piatta e nebbiosa regione dove il pittore viveva (il ducato di Borgogna corrisponde grosso modo all’attuale Belgio).
Possiamo accontentarci di godere della straordinaria bellezza di questo paesaggio. ma è opportuno non dimenticare il contesto. Siamo davanti a un soggetto religioso di grande complessità e siamo consapevoli del fatto che nel tempo in cui l’opera fu eseguita quasi niente era lasciato al caso. Molti particolari, anche all’apparenza di poco conto, erano funzionali alla rappresentazione di concetti, corollario alla comprensione di immagini, allusione all’indicibile. Se molti secoli addietro il fondo oro era l’unico mezzo idoneo per fare da sfondo all’immagine sacra, se Giotto usò l’azzurro compatto del cielo come “sipario trascendentale”, così Jan van Eyck negli anni Venti-Trenta del XV secolo ha deciso di usare lo splendore del creato, descritto nella sua realtà fenomenica, per rappresentare il Paradiso.
Facendo questo Van Eyck “non ha trasfigurato o spiritualizzato la realtà terrena, ma ha spostato la Gerusalemme celeste completamente nel mondo dell’esperienza; ha naturalizzato il cielo”. (La citazione è tratta da Otto Pacht, Van Eyck. I fondatori della pittura fiamminga, Einaudi, 2013, p.171).
Opere e riferimenti citati:
Jan Van Eyck, Polittico dell’Agnello Mistico, 1432, Gand, Cattedrale di San Bavone
Alcune fotografie con particolari del paesaggio sono tratte da: Arold Van de Perre, Van Eyck, L’Agnello Mistico, Leonardo Arte, 1996, Fotografie di Paul M. R. Maeyaert
Erwin Panofsky, The Friedsam Annunciation and the problem of the Ghent Altarpiece in Art Bulletin, 17 (1935)
Otto Pacht, Van Eyck. I fondatori della pittura fiamminga, Einaudi, 2013
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