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Immagine del redattoreMaria Grazia

Un trionfo di fiori e frutti

Aggiornamento: 13 set 2021


Jan Davidsz de Heem, Festone di fiori e frutti, Galleria Sabauda Torino


Nato a Utrecht nel 1606, ma vissuto a lungo in Anversa, questo grande pittore, specializzato in nature morte, ha finito per assimilare parte delle tradizione olandese e parte di quella fiamminga.

I suoi dipinti sono spesso caratterizzati da una grande abbondanza di oggetti che possono essere presentati su di un tavolo o intrecciati in un suntuoso festone.

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Jan Davidsz de Heem, Natura morta con prosciutto e aragosta, Museo Boijmans, Rotterdam


Nel primo caso avremo una ricca distesa di vasellame, porcellane, vetri, piatti imbanditi con prelibatezza di ogni genere, con contorno di frutti di varia provenienza. Nel secondo caso, il pittore intreccerà per la gioia dei nostri occhi decine di fiori e di frutti, spesso visitati da insetti e altri piccoli animali. E' questo il caso del dipinto della Galleria Sabauda che, nella sua apparente semplicità, nasconde alcuni segreti.


Cominciando dall'alto vediamo che tutto il festone è appeso a una traversa di legno. Sembra che i pesanti frutti disposti lungo tutto il festone siano sostenuti da un tralcio di vite tenuto da un nastrino azzurro, fissato con un chiodo.



In effetti grappoli d'uva compaiono più di una volta tra la dovizia di altri frutti, alcuni dei quali si impongono allo sguardo dello spettatore per il loro aspetto quasi sensuale: melograna e fico maturi che si aprono a mostrare i chicchi e la polpa.




Un'altra costante sono le spighe di grano. Cominciamo a capire qualcosa della simbologia nascosta dietro l'ostentazione barocca di tante bellezze naturali. Vite e grano alludono al vino e al pane, simboli eucaristici.

Il pittore è esplicito. Se distogliamo per un momento lo sguardo dalla festa di forme e di colori che inevitabilmente focalizza la nostra attenzione, vedremo in basso, posato su un ripiano di legno, un piccolo crocifisso e alla sua destra una pagnotta di pane e un bicchiere di vino.




Il pittore non ha dipinto solo una natura morta. Ha inteso trasmettere un messaggio.

Proviamo adesso a riconsiderare alcuni elementi dell'opera: il tralcio di vite, la melagrana, il fico. Ci soccorre la Bibbia (Numeri, 13, 24). Si tratta dell'episodio degli esploratori mandati da Mosè nel paese di Canaan e del loro ritorno carichi di un tralcio di uva "che portarono in due con una stanga, e presero anche melagrane e fichi".

La melagrana con i suoi frutti rossi può alludere anche al sangue della passione di Cristo.

Riconsiderando tutto l'insieme potremmo cogliere un ulteriore messaggio.

La natura esibita è bellissima ma si tratta di una bellezza fragile e di breve durata.

Il tempo della perfetta maturazione è breve. Piccoli insetti attaccano i frutti, la polpa già comincia a deteriorarsi. Tali sono i piaceri del mondo, transitori ed effimeri.


E' proprio della tradizione olandese l'impegno descrittivo che non trascura nemmeno i particolari più piccoli, spesso indagati anche grazie al microscopio. Lo vediamo nel quadro che stiamo osservando: foglie di vite raffigurate nelle due facce, minuscole farfalle, lumache che strisciano lungo il piano inferiore, riflessi nel bicchiere.

Straordinario virtuosismo tecnico al servizio di un'idea: descrizione come percorso di conoscenza.


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